martedì 12 gennaio 2021

Mods e dintorni : viaggio nelle subculture giovanili dagli anni 20 ai giorni nostri. 1a parte : dalle "Flappers" allo stile "Zoot Suit"

Il fenomeno delle "subculture"
(Enzo Bellocchio)

 Parlando di "subculture" spesso si tende a semplificare e minimizzare la portata del fenomeno ridotto frequentemente a semplice moda fine a se stessa, ignorando e trascurando i presupposti sociali che le determinano. La società di cui facciamo parte, tende ad omologare le persone ad un modello comune, determinato da leggi, regole e convenzioni che danno vita a un modello culturale predominante al quale uniformarsi. Si va da una scelta più o meno consapevole a una vera e propria imposizione ma, in alcuni casi, si determinano condizioni che escludono a priori interi strati di popolazione messa ai margini per questioni economiche, ideologiche, culturali e purtroppo anche razziali e sessiste. E' un dato di fatto che le subculture nascano sempre fra i giovani nei quartieri proletari delle grandi metropoli occidentali, con l'eccezione del Giappone, vera fucina di "subculture" giovanili, come moto di reazione a quella società a cui è impedito loro entrarne a far parte. Se non posso far parte o non accetto la cultura predominante, me ne creo una tutta mia, essenzialmente si tratta di questo, dove anche io posso essere protagonista senza che sia il denaro o la condizione sociale a determinarne l'appartenenza. A fare da aggregante può essere un particolare tipo di musica, una moda, un certo modo di esprimersi, ma mai una ideologia politica che anzi, ha spesso strumentalizzato subculture giovanili appropriandosi dei loro modelli culturali asservendoli, in maniera truffaldina, alle loro cause. Emblematico, in tal senso, la connotazione ideologica che si è voluto dare del fenomeno degli "Skinheads" di cui parleremo nelle prossime puntate.


 Le "Flappers" : la prima vera "subcultura" dei tempi moderni. Una rivoluzione tutta femminile.  
Flappers



Il fenomeno delle subculture non è un fenomeno relegato solo ai tempi moderni, anzi. Andando a ritroso nei secoli ne potremmo trovare svariate,  alcune molto interessanti come ad esempio, quella dei "dandies", fenomeno legato alla moda del vestire ricercato fondato da Lord Brummel che, per inciso, aristocratico non era, ma che riuscì a farsi accettare da un mondo che non gli apparteneva, rompendo le convenzioni nel campo dell'abbigliamento e degli atteggiamenti da tenere in società. Ma volendo collocare in un'epoca ben precisa l'esordio delle subculture moderne, dobbiamo andare agli anni '20, con l'Europa dilaniata dalla grande guerra e l' economia europea e americana, duramente provate e al collasso. Durante la guerra le fabbriche belliche,(ma non solo) si sono riempite di giovani donne operaie per sostituire tanti ragazzi che sono andati al fronte. Questo determina una emancipazione innanzitutto economica di giovani donne che, a guerra finita, hanno voglia di divertirsi e di dimenticare le restrizioni e i sacrifici imposti dal conflitto bellico. Per farlo mettono in atto una vera rivoluzione culturale, non solo di sostanza ma anche di apparenza esteriore. Per appropriarsi di cose un tempo a loro precluse le ragazze, anche in questo caso provenienti da ambienti proletari, che non a caso si fanno chiamare "garçonne" (in francese "ragazzo"), si mettono in mostra adottando atteggiamenti e comportamenti tipici degli uomini,  si tagliano i capelli come i ragazzi, bevono alcool e non si preoccupano di fumare in pubblico, si truccano pesantemente incuranti del fatto che solo le prostitute all'epoca osavano farlo, non rinunciano al sesso occasionale, guidano le automobili e amano ascoltare e ballare il Jazz. Vengono chiamate anche "Flappers" a simboleggiare gli uccellini che sbattono le ali prima di spiccare il loro primo volo, ma rimane un termine ambiguo se si considera che già nel '600 con il termine "flap" si indicavano le giovani prostitute. E' un fenomeno quasi esclusivamente anglosassone ma che prende piede anche in Francia mentre, in Italia, la cosa rimane praticamente un fenomeno sconosciuto con qualche rarissima eccezione. E' uno scandalo senza precedenti che mette a durissima prova il mondo conformista e benpensante che però non riesce ad arginare il fenomeno che ben presto influenzerà in maniera irreversibile il mondo della moda e del cinema. Fra le Flappers più famose vanno citate Louise Brooks e Joan Crawford. Fra le rarissime flappers italiane la tarantina Anna Fougez.
Louise Brooks


Joan Crawford


Anna Fougez




"Zoot Suit", ovvero l'elegante rivolta dei ghetti
Negli Stati Uniti degli anni '40, prima che iniziasse la Seconda Guerra Mondiale, la cultura dominante era quella W.A.S.P. (White Anglo Saxon Protestant), ovvero i bianchi di diretta discendenza britannica. Qualsiasi altra minoranza aveva poche occasioni di avere un ruolo rilevante nella società dell'epoca. Drammatica era la situazione degli ispano americani e degli afro americani, praticamente relegati all'ultimo posto della scala sociale. Normale che in una società così discriminante verso le minoranze etniche, queste dovevano percorrere strade differenti per recitare un ruolo da protagonisti, finendo per trovarlo in un particolare stile d'abbigliamento chiamato "Zoot Suit". Il termine "zoot" non è altro che una reduplicazione della parola "suit" (abito) e si pronuncia "zuit". Quindi "Zoot Suit" va letto come "Zuit Suit" ed è una moda che prendeva spunto dagli anni '30, quando gli abiti per uomini erano caratterizzati da giacche abbondanti e pantaloni larghi. La moda "Zoot Suit" esaspera queste caratteristiche con giacche da misure extra e pantaloni esageratamente larghi. Anche gli accessori assumevano misure extra, come i cravattini quasi clowneschi. Completavano il tutto le scarpe bianco e nere a coda di rondine, le bretelle e un borsalino, chiamato "Fedora", dalla tesa esageratamente grande. La moda si allargò immediatamente nei ghetti afroamericani delle grandi metropoli statunitensi e contaminò anche il mondo della musica trovando in Cab Calloway un protagonista perfetto. Negli anni '80 Kid Creole con le sue "Coconuts" ripropose lo stile "Zoot Suit" con grande successo.
Cab Calloway


Kid Creole and The Coconuts


Questa subcultura non rimase confinata ai ghetti afro americani ma cominciò a fare proseliti anche nei sobborghi italiani di New York e Chicago e ben presto la moda "Zoot Suit" divenne un tratto distintivo dei gangster italo americani. Esiste un'ampia cinematografia che documenta questa caratteristica dello "Zoot Suit". Inizialmente tollerato e visto anche con divertita curiosità dalla cultura dominante degli americani di origine anglosassone, la cultura e la moda "Zoot Suit" fu pesantemente osteggiata durante e dopo la guerra, in quanto la taglia esagerata degli abiti veniva considerato uno sfregio e uno spreco alle ristrettezze imposte dalla guerra e si arrivò persino al divieto di vestirsi alla "Zoot Suit". Nel 1943, a seguito di un assassinio attribuito a giovani latinos messicani seguaci della "Zoot Suit", i marinai bianchi americani insorsero in una rivolta anti messicana, scatenandosi in una vera e propria caccia ai "Pachucos" ovvero i giovani messicani nati in america. Ma anche in alcuni ambienti neri radicali questa moda trovò feroci oppositori, fra questi Malcolm X che arrivò a definire le giacche "Zoot Suit" "cappotti assassini con forma a drappo, e pieghe e spalle imbottite come la cella di un pazzo". 
Italo americani in abiti Zoot Suit
Al Capone in perfetto stile "Zoot Suit"